“Il sistema italiano di raccolta dei rifiuti, di raccolta differenziata e riciclo di materiali ricuperabili, di smaltimento sta andando alla paralisi perché alcune città come Roma paralizzano il sistema, perché le quantità riciclabili raccolte nel resto d’Italia sono sempre più alte, ma non cresce il minuscolo mercato dei prodotti riciclati; si potrebbe ricorrere a impianti alternativi di smaltimento come gli inceneritori ma — per le contestazioni nimby e per l’appoggio che i comitati del no trovano in chi fa leggi e norme — non solamente è bloccata la costruzione di qualsiasi impianto ma addirittura sindaci, magistrati e assessori fanno chiudere quelli che ci sono. Conseguenza: gli impianti di trattamento sono strapieni, i prezzi di trattamento e smaltimento diventano superbi, i rifiuti e i materiali riciclabili non trovano destinazione, sono più facili e pericolosi gli incendi involontari, si dà spazio alla malavita degli smaltimenti abusivi, degli incendi nei capannoni e delle esportazioni clandestine di spazzatura.”
Questo stralcio dell’articolo dal titolo: Raccolta rifiuti, l’Italia sommersa verso la paralisi totale, apparso qualche giorno fa sul Sole 24 ore a cura di di Jacopo Giliberto, apre a molte domande, una delle quali è: per quale ragione ci si è ostinati a ragionare e ad osannare per anni la raccolta differenziata, quando era, ed è tuttora evidente, che la nostra organizzazione interna nazionale in materia di gestione dei rifiuti è totalmente incapace di gestire le frazioni raccolte?
Parliamoci chiaro, gli inceneritori, di cui tanto si parla nell’articolo – che vi invito a leggere – non sono la soluzione alla miopia verso le politiche ambientali di questo paese, ma in questo momento di male acuto, potrebbero, e dico, potrebbero, essere una delle soluzioni temporanee possibili; l’altra a medio e lungo temine, è ovviamente l’auspicata applicazione di modelli circolari, che partendo da una fase di raccolta innovativa degli scarti, hanno lo scopo di valorizzare le frazioni di materiale raccolto, restituendogli un nuovo valore commerciale economicamente quantificabile, come peraltro prevede la direttiva Europea sull’Economia Circolare.
Quello a cui dobbiamo seriamente tendere, è andare oltre la raccolta differenziata e rafforzare la capacità di recupero, di riuso e di riciclo interna al nostro paese.
Il passo, non è ne facile, ne immediato, ed è importante in questo senso, che le città ripensino il più velocemente possibile al proprio metabolismo interno di scarto e recupero della materia. Fino ad oggi, infatti, le contromisure alla normale produzione di scarti, sono state trovate esclusivamente nella raccolta differenziata, quella parte di separazione, che in pratica va dalla casa al mezzo che raccoglie il porta a porta, senza preoccuparsi però di quello che avviene dopo. Una filiera, quella a valle della raccolta differenziata, fatta di cicli di separazione e cernita che hanno un forte impatto sull’ambiente, visto che circa il 20% del rifiuto differenziato finisce comunque in discarica e il 35% va a termodistruzione. Del restante 45%: una parte, dopo la cernita, viene lavorata nei pochi impianti esistenti, l’altra parte, la frazione più pesante dei semi-lavorati, veniva esportata in Cina (verso la Cina era l’unica materia che esportavamo con grandi ricavi!). Per informazione, dal Luglio del 2017, a causa di gravi problemi ambientali e di salute interni al paese, la Cina ha deciso di sospendere le impostazioni, mettendo di fatto in ginocchio mezza Europa compresa l’Italia.
Questo improvviso cambio di strategia effettuato dalla Cina, ci ha messo in difficoltà e ci ha permesso di capire la realtà delle cose, fatta di mancanza di impianti di riciclo e di proliferazione delle ecomafie.
Cosa vuol dire differenziare nell’era dell’Economia Circolare? Quali sono le nuove strategie per differenziare, ridando agli scarti un reale valore economico e commerciale?
Prima di rispondere a queste domande, è bene ricordare che la raccolta differenziata fu introdotta con D.Lgs. 22/1997 dalla cosiddetta legge Ronchi, dal nome del legislatore che più di tutti ha saputo interpretare i bisogni ambientali dell’epoca e capire in anticipo quale grande risorsa potevano essere gli scarti prodotti dalle attività umane.
Se negli anni scorsi, secondo lo schema guidato dal decreto Ronchi, bastava solo alzare le percentuali di raccolta differenziata per essere delle comunità virtuose, oggi con l’entrata in vigore del Pacchetto sull’EC non è più cosi. Infatti il nuovo schema non parla più di target di raccolta differenziata, ma di target di materiale riciclato; un vero e proprio cambio di paradigma.
Piccolo passo indietro necessario
Dal 4 luglio 2018 sono in vigore le quattro direttive del “pacchetto economia circolare” che modificano le 6 vecchie direttive su rifiuti, imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), veicoli fuori uso e pile, in un ottica circolare. Una visione del tutto nuova e con aspetti importanti rivolti alla valorizzazione dei nostri scarti. Un gigantesco passo in avanti nella direzione, da tanti auspicata, di ridurre il consumo di materie prime e degli impatti verso l’ambiente che da alcuni decenni stanno pesantemente compromettendo tutto il nostro pianeta. Uno degli aspetti più interessanti del pacchetto sull’Economia Circolare approvato, è che la raccolta differenziata, pur giocando un ruolo fondamentale verso il transito all’Economia Circolare, non è difatti il marker principale su cui ragionare; a fare da driver, in questo cambio di paradigma, sono adesso le % di riciclo, cambiando così per sempre, la percezione del valore della materia che noi scartiamo attraverso la produzione di rifiuti.
Questo cambio di visione e di prospettiva, nasconde in se una vera e propria rivoluzione, che si dovrà concretizzare in un prossimo futuro, sia nelle modalità innovative di raccolta degli scarti, sia nella loro gestione e trattamento a fine vita.
Fin qui è come si dovrà interpretare il futuro prossimo. Ma oggi cosa dobbiamo fare per preparaci a questo cambio di paradigma imposto dal pensiero circolare, che basa la sua pratica su tre pilastri fondamenti: riduzione, riuso, riciclo?
Differenziare nell’era dell’Economia Circolare
Come accennato prima, dobbiamo andare oltre la raccolta differenziata e rafforzare la capacità interna delle città di recupero, riuso e riciclo degli scarti. Le tutte città devono riorganizzare il proprio sistema di gestione degli scarti, ripensando al proprio metabolismo interno, dando la massima priorità ad una condizione ZERO WASTE. Questo vuol dire, fare delle scelte, basate non più sulla quantità di scarto differenziato, ma sulla qualità di scarto recuperato, sia esso riciclato o riusato. Ciò presume ristudiare i sistemi di raccolta al fine di preservare il valore degli scarti.
Oggi, un esempio in negativo, è la gestione dello scarto plastica, che passando attraverso l’attuale filiera di “riciclo” produce costi ambientali e economici diventati ormai insostenibili per molte comunità. Solo una piccola parte del materiale lavorato dagli impianti di selezione e cernita, infatti, viene davvero riciclato per realizzare le mitiche “panchine di plastica riciclata” così tanto decantate la parte rimanente finisce, o meglio dire, finiva esportata in Cina oppure inviata agli impianti di temodistruzione. Il calcolo dell’impatto sull’ambiente lo lascio intuire a voi!
Nell’era dell’EC, differenziare vuol dire creare valore immediato della materia, attraverso, ad esempio una selezione a monte dei materiali che noi quotidianamente scartiamo. Siamo arrivati ad un punto, soprattutto tecnologico, in cui recuperare più materiale possibile, non è poi cosi complicato. Per fare questo basta attivare filiere di raccolta tecnologicamente avanzate e contemporaneamente introdurre la separazione spinta dei materiali alla fonte, ossia nel punto di produzione (casa, scuole, ufficio, luoghi di lavoro, luoghi di svago , ecc.). Queste raccolte, tipologiche mirate, operando senza soluzione di continuità, riescono nel arduo compito di sgravare tutti gli attori interessati (per esempio le famiglie e gli esercizi commerciali) dall’accumulo degli scarti. Questo tipo di raccolta controllata e guidata, ha l’obiettivo di evitare il fenomeno di cross-contamination, ossia la contaminazione tra i materiali e recuperare il materiale quasi puro per ogni frazione merceologica (carta, cartone, PVC, PET, ecc.)
Che valore hanno i nostri scarti?
Se ci fermassimo a pensare all’impatto sull’ambiente che generano i prodotti che normalmente consumiamo nell’arco di una giornata, ci accorgeremmo della necessità di aumentarne il tempo del loro fine vita. Valuteremmo la loro inutilità in modo diverso. Valuteremmo il riuso e il recupero come mezzo per compensare l’impatto ambientale iniziale. I nostri scarti valgono moltissimo perché se riuscissimo a recuperarli, riusarli o riciclarli correttamente, per prima cosa abbatteremmo la produzione di CO2 il gas serra responsabile dei cambiamenti climatici, prodotta a partire fin dall’avvio della produzione di tutti i materiali che compongono il prodotto ultimo, che viene misurata dal CARBON FOOT PRINT.
La seconda cosa, andremmo a diminuire drasticamente il consumo di risorse naturali, ormai prossime alla fine. E la terza cosa, andremmo a riequilibrare il divario della povertà, in costante aumento, tra i paesi industrializzati, come il nostro e i paesi in via di sviluppo.
Perché dobbiamo cambiare il linguaggio quando parliamo di economia circolare?
Sembrerà strano, ma se parliamo di Economia Circolare, non possiamo più parlare di rifiuti. La connotazione rifiuto dato ad un materiale di scarto presuppone l’impossibilità di una qualunque attività di recupero, contrariamente a quanto invece ci si prefigge con l’applicazione di modelli circolari di recupero, riuso e riciclo. Questa rigidità lessicale, a molti suonerà un pò troppo esagerata, ma in realtà è rappresenta il primo passo per transitare verso la circolarità. Fino a che noi non riusciamo a scardinare il concetto di smaltimento a favore delle pratiche di recupero, riuso e riciclo, la transizione verso il passaggio successivo concettuale dell’economia circolare, ossia il “dalla culla alla culla” resterà bloccato da errate interpretazioni e convinzioni. L’invito quindi, è quello fare chiarezza, nei termini e nei modi di esposizione, per dare lo spunto necessario ad una comunicazione significativa, che sappia rompere lo schema lineare, tanto caro a molti.
Risorse:
- Dalla culla alla culla. Come conciliare tutela dell’ambiente, equità sociale e sviluppo – William McDonough;
- Circular economy. Dallo spreco al valore – Peter Lacy e Jakob Rutqvist
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