“Chi produce un bene ne deve gestire l’intera vita anche quando il bene diventa un rifiuto”

Sapete cosa vuole dire questa affermazione? Che il produttore, per esempio di un tavolo, oltre che a produrlo, deve anche pensare a come prenderlo in carico quando è arrivato alla fine della sua vita!

Semplice!

 

Si ma perché io, che sostengo i costi della produzione, devo anche farmi carico dei costi dello smaltimento?

Domanda corretta! 

Però adesso vi spiego una cosa!

Vi sarete accorti di quanto consumiamo?

Tanto, tantissimo!

Ormai gli oggetti che comperiamo, anche di grande valore, durano pochissimo tempo; l’80% di quello che produciamo viene usato una volta e poi gettato via (Fonte UE).

Il più delle volte ce ne disfiamo anche quando ancora gli oggetti sono in buono stato e ancora funzionanti, solo perché il mercato ci condiziona con compagne pubblicitarie seducenti e discutibili nello stesso tempo. Oggi è più giusto parlare di disvalore degli oggetti che di valore, e di come questa perdita di valore, associata all’uso (o non uso) che facciamo degli oggetti, sta condizionando l’ambiente in cui viviamo. Quando comperiamo un oggetto non pensiamo mai al fatto che una volta che abbiamo finito di usarlo, lo stesso diventa un rifiuto, che Noi consumatori paghiamo per smaltirlo. In pratica paghiamo due volte, per comperarlo e per smaltirlo e magari nel mezzo, paghiamo anche per ripararlo!

Insomma noi consumatori paghiamo sempre!

Tempo fa leggendo il libro di Raj Patel Il valore delle cose e le illusioni del capitalismoho capito in concetto di esternalità, e di come influenza in modo pesante la nostra vita. Per fare un esempio: una fabbrica di prodotti chimici che con i suoi residui inquina l’aria e le acque di un fiume non considera tali danni tra i suoi costi, ma questi certamente rappresentano dei costi per la collettività. In questo caso quindi i costi sociali sono maggiori di quelli privati. Altro esempio, i produttori di quello che viene chiamato junk food o cibo spazzatura, non considerano che l’abuso di cibo spazzatura può portare a diversi tipi di patologie, alcune sin troppo comuni nella nostra società, come ad esempio malattie cardiovascolari, diabete ed obesità. Anche in questo caso i costi associati alle cure mediche sono costi sostenuti dalla  collettività. Capire il concetto di esternalità mi ha fatto riflettere su alcuni principi importanti legati allo sfruttamento delle risorse naturali e allo sfruttamento delle persone. E ho capito che, in questo tempo, un’azienda per essere innovativa e all’avanguardia, non deve inventarsi la Luna, basta capisca come agire sul ciclo produttivo e offerta dei servizi, per dare il suo contributo alla collettività abbattendo il più possibile i costi associati al concetto di esternalità.

Pensate a quanto può recuperare in termini di immagine, ma soprattutto in termini economici, una Società che produce, per esempio, abbigliamento, se si occupasse anche del fine vita dei propri indumenti, applicando queste semplici mosse:

  1. Gli indumenti dismessi possono essere riportati al punto vendita, ricevendo in cambio un buono sconto sull’acquisto di altra merce —> in questo caso il produttore eviterebbe che i propri capi finiscano al macero di terzi o in discarica, oppure, come capita spesso venduti in modo illecito a terzisti che li imbarcano con destinazione Africa;
  2. I sacchetti di carta e plastica, e gli indumenti usati consegnati al produttore, possono prendere la strada del riuso oppure essere destrutturati in fibre primarie e riutilizzati per farne altri sacchetti  e altri indumenti a costi di produzione forse inferiori —> questa strada sostenibile è quella da tutti auspicata, che impone fin da subito al costruttore due importanti valutazioni:
    • la prima, forse la più importante, che è alla base del concetto di Economia Circolare, è sulla modalità di progettazione e Designer, che deve prevedere, fin dall’idea iniziale, il percorso fine vita dell’oggetto o indumento, ipotizzando un riuso o la possibilità di riciclo al 100%.
    • la seconda è sulla scelta dei materiali, che devono provenire ad esempio, da produzioni sostenibili e da fornitori di grande affidabilità sia economica che sociale, e se parte dei materiali  provengono da quelli riciclati dalla stessa azienda di produzione, ancora meglio!
  3. La creazione di veri e propri impianti dove queste materie vengono ri-lavorate in modo sostenibile   —> questa strada porterebbe alla creazione nuovi posti di lavoro, ma anche di idee innovative, nate da una nuova mentalità circolare creatasi all’interno dell’azienda.

Questo è solo un esempio, forse l’esempio più semplice, ma vi assicuro che non è difficile applicare queste semplici indicazioni ad aziende che producono beni più complessi.

Se ci fermassimo ad analizzare il 90% delle imprese italiane, troveremmo ampi spazzi di manovra per tendere ad un beneficio, riguardo all’applicazione della responsabilità condivisa del produttore. Chi produce infatti è maggiormente avvantaggiato nel capire come deve essere lavorato un residuo di lavorazione o un oggetto a fine vita. Questo vantaggio, permetterebbe al produttore di dare un valore economico ai rifiuti, che altrimenti andrebbero persi in discarica o peggio, illegalmente commercializzati.

Quanto costa lo smaltimento dei rifiuti alle imprese italiane?

Secondo uno studio effettuato dalla Cassa Depositi e Prestiti del 2014 il costo per la gestione dei RSU in Italia si aggira intorno ai 8Mld di Euro. Nel nostro paese, dove ancora l’economia è di tipo lineare, l’introduzione del concetto di circolarità porterebbe certamente ad una riduzione dei costi per la gestione dei rifiuti, ma anche ad un ridimensionamento della esternalità che oggi è completamente associata al modello lineare di economia.

Perché non provare allora?

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