In un futuro lontano, la nostra civiltà, sarà ricordata come quella che più di ogni altra, ha avuto il maggior impatto  negativo sugli ecosistemi naturali!

La nostra era geologica verrà indicata con il nome Antropocene. Da studi effettuati recentemente, l’Era Antropocenica, ha il suo inizio intorno alla metà del 20° secolo, ed è caratterizzata dalla diffusione incontrollata di materiali come alluminio, metalli pesanti, cemento, plastica, vetro, ceneri volanti e ricadute test nucleari, in tutto il pianeta.

L’Era Antropocenica, inoltre, è stata contraddistinta da discutibili  scelte economiche, che nel corso del tempo hanno portato a gravi impatti ambientali e sociali.

La società contemporanea, formatasi a valle della rivoluzione industriale del 1830 e condizionata delle due Guerre Mondiali passate, per decenni, ha cercato il benessere attraverso la produzione di ogni sorta di commodity, sempre alimentato da un’economia tipo di lineare, che ancora oggi è predominante nella totalità degli Stati Occidentali. Questa economia, che ci ha permesso di produrre ed usufruire di tutto ciò che volevamo, difatto, non si è preoccupata degli scarti che avremmo prodotto, e che nel tempo sono diventati causa principale dell’impatto dell’uomo sugli ecosistemi naturali.

L’Economia Lineare, cosi chiamata, per via della linearità con cui si percepisce – produco, consumo e smaltisco – ancora oggi, ci accompagna in tutte le fasi della nostra giornata e viene costantemente alimentata da strategie commerciali contraddittorie, a cavallo tra il puro consumo e il rispetto per l’ambiente.

Complice la scarsità ormai cronica, delle materie prime, oggi, attraverso una presa di coscienza globale, si stanno però, piano piano, aprendo le porte ad un nuovo modello economico, che con molta fatica, sta mettendo in primo piano la tutela del nostro pianeta e la salute delle persone.

Per la prima volta nella storia, l’umanità è in grado di distruggere o salvare il suo futuro. 

Nonostante i profondi cambiamenti nei nostri atteggiamenti, verso l’ambiente e le persone, che saremo obbligati ad adottare, per far fronte ad un  nuovo modello economico di tipo circolare, la sfida maggiore, sarà quella di saper gestire la grande diffusione dei rifiuti che abbiamo accumulato nel corso dei decenni passati.

Materiali di diversa natura, dai rifiuti urbani, come: plastica, materiali elettronici, vetro, carta, legno, pile, metalli di ogni genere; ai rifiuti industriali, che contengono metalli pesanti, solventi alifatici, solventi aromatici e clorurati, code di raffinazione, ecc., per anni sono stati stoccati in discariche, più meno sicure, sparse per il nostro paese. Oggi quei rifiuti in molti casi, sono diventati pericolosi e minacciano la nostra incolumità. Per questo motivo necessitano di attenzione e forse di essere rimossi, per ridare ai materiali contenuti, un’ulteriore valore commerciale.

Il Landfill Mining o recupero discariche, è un termine inglese usato comunemente per esprimere il concetto di bonifica di vecchie discariche, mediante asportazione per escavazione dei rifiuti in essa depositati e la valorizzazione dei materiali rinvenuti.

Un lavoro enorme da fare, ma che senz’altro per il nostro paese, può avere importanti ripercussioni positive sull’ambiente e sull’occupazione.

Oggi, sugli scarti che produciamo, fortunatamente siamo ancora in tempo ad attuare un altro tipo di strategia, che evita lo smaltimento in discarica e che massimizza il valore di tutti i residui che produciamo. Oggi infatti, seppure, non siamo ancora, in una fase concreta di attuazione di un modello economico circolare, dobbiamo essere in grado di pensare a impianti che de-costruiscono e/o rigenerano i nostri scarti. Come già più volte scritto in questo blog, oggi più che in altri momenti della storia, dobbiamo avere una visione nuova, puntata su quello che saranno i nostri scarti, e ri-pensarli come beni di alto valore commerciale.

Per ogni scarto che produciamo, esiste un modo per valorizzarlo. Oggi (alcuni già lo fanno!), potremmo intervenire su moltissimi scarti: arredamenti, grandi e piccoli elettrodomestici, metalli, vetro, carta, autoveicoli, treni, aerei, navi (Lo smontaggio della Costa Concordia poteva essere un esempio ..ma non lo è stato!), edifici, ecc.

Ma come?

Se pensate a quanto “valore” nasconde al suo interno uno smartphone, allora forse, vale la pena raccoglierli e smontarli in modo sistemico.

 

Cosa ne dite?

Nonostante la raccolta differenziata che facciamo, la maggior parte dei materiali viene persa. Secondo uno studio di Remedia e il Politecnico di Milano, solo per i telefoni cellulari, in Italia, si recuperano 2,3 milioni di pezzi su un totale di circa 35 milioni!!

Valore potenzialmente perso di circa 195 milioni di Euro!!

Sebbene questi, siano valori solo potenzialmente raggiungibili, è normale pensare al ritorno economico, che potrebbero avere le Amministrazioni Pubbliche, delle grandi e medie città, se solo incentivassero la creazione di Miniere Urbane; un ritorno economico, che non è solo legato al valore del materiale recuperato (plastica, RAEE, carta, vetro, legno ecc.), che è comunque primario, ma che è anche strettamente collegato alla creazione di nuove opportunità imprenditoriali. Ed è altrettanto logico, a mio parere, pensare che anche i produttori di commodity, potrebbero ricavare importati vantaggi economici dal recupero dei loro stessi prodotti, se solo adottassero nuovi modelli business, basati sul modello economico circolare.

Smontare non vuole dire rompere o distruggere, smontare vuol dire intervenire in modo sistematico sul prodotto che viene scartato, per recuperarne tutto il materiale di cui è costituito e ridargli, di nuovo, un valore commerciale.

Al mondo ci sono molti esempi di impianti che de-costruiscono. Reman Plants o impianti per decostruire, già sono disponibili soprattuto nell’ambito dell’automotive (automobili, mezzi pesanti, macchine movimento terra) sia nell’UE sia in altri paesi.

Perché, gli impianti per Rigenerare/De-costruire sono importati?

I motivi sono molti e tutti improntati su un reale bisogno di sostenibilità, non solo ambientale, ma anche economica e sociale. Qualche esempio:

  • Per la potenziale alta efficacia di recupero delle materie seconde, con rese superiori al 80%. Questa alta efficienza di recupero è sostanzialmente dovuta alla conoscenza progettuale del produttore.
  • L’applicabilità a molte tipologie di materiali. Sono molti i settori che potrebbero infatti beneficiare di fabbriche che de-costruiscono, a partire dai settori della meccatronica, dove i prodotti contenenti schede elettroniche sono in costante aumento in diversi settori industriali e consumer; ai settori dell’automotive, del tessile e della manifattura in generale;
  • Per la potenziale alta capacità di rigenerazione di parti usurate e successiva ricollocazione nei circuiti di vendita. Ciò vale per molti settori industriali, un esempio su tutti, quello meccanico dell’automotive;
  • Perché si riduce drasticamente la quantità di “rifiuti” dispersi nell’ambiente.
  • Perché applicando metodologie innovative di de-costruzione diminuiscono enormemente gli impatti  negativi sulle matrici ambientali.

Quali sono i vantaggi?

  • Nell’immediato, senza dubbio, il rilancio di immagine di quei Brand, che adotteranno questi nuovi modelli di business, poiché verranno percepiti dai consumatori, come marchi innovatori e impegnati nello sviluppare e consolidare politiche ambientali circolari-sostenibili.
  • Nel medio periodo la creazione di nuova occupazione, con conseguente sviluppo di nuove competenze negli ambiti manageriali,  dell’ingegneria e del design.
  • Nel medio e lungo periodo, sarà sicuramente un  importante risparmio economico, dovuto al valore stesso del materiale recuperato e riciclato all’interno della catena di valore.

Nonostante questa nuova prospettiva produttiva, che gli imprenditori dovrebbero pensare di attuare, per ridare valore ai loro prodotti, il vero salto di qualità lo si avrà, solo quando tutti i progettisti e i design, inizieranno a pensare in modo circolare. In questa direzione, pochi giorni fa, al World Economic Forum di Davos  è stata presentata dalla Ellen MacArthur Foundation in collaborazione con IDEO, il documento The Circular Design Guide, che traccia la strada del pensiero progettuale circolare.

In sintesi si può dire che decostruire e/o rigenerare, non solo sarà la sfida del prossimo futuro, ma diventerà conveniente per rilanciare tutte quelle economie, che oggi, restano ancora cementate su pensieri lineari e impassibili su ciò che in realtà sta già accadendo.

 

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