Nello scorso post intitolato Demolizione vs. decostruzione, ho parlato dell’importanza del recupero dei materiali da C&D in un ottica di riduzione delle risorse naturali (materiali vergini da cava) e di quanto sia necessario avviare nuove pratiche di de-costruzione selettiva per massimizzare il recupero di questi materiali. Ho parlato inoltre, dell’importanza che potrebbe avere un approccio metodico preventivo, verso la de-costruzione degli impianti e dei fabbricati, utilizzando lo strumento dell’Audit Pre-decostruzione, come analisi puntuale delle quantità/qualità dei materiali e dei costi associati all’intervento.

Lo scorso gennaio a seguito dell’approvazione del pacchetto sull’Economia Circolare da parte del Parlamento Europeo, anche alcune delle maggiori associazioni di categoria – ANCE, AMPAR – hanno iniziato un lungo cammino verso la circolarità, spingendo i loro associati a pensare circolare e ad intraprendere buone pratiche di decostruzione selettiva che consentano di massimizzare il recupero dei materiali da C&D.

Come già accennato nello scorso post, uno dei problemi più grandi da affrontare per recupero funzionale di questi materiali è la mancanza di un mercato di riferimento e nello stesso tempo, la mancanza della certezza (certificazione) che i materiali recuperati siano riutilizzabili per altre opere edili.

Il problema è importante ma non impossibile da risolvere.

Oggi, come dimostrano i dati sulla raccolta e riciclo dei materiali da C&D, la maggior parte di questi materiali demoliti finisce perso o in discarica, e non mi riferisco solo ai conglomerati cementizi o a mattoni, o a porcellane, mi riferisco anche agli arredi e alle strutture interne, come porte e finestre, sanitari ecc.

Quanti (e quali) di questi materiali è possibile davvero recuperare e magari rivendere ad un mercato dell’usato locale?

Se smontati in modo selettivo e con tecniche efficaci la percentuale di materiali “salvati”, e probabilmente riutilizzabili, è molto alta, come dimostrano esperienze in altri paesi dell’UE e degli Stati Uniti.

In alcuni paesi, non sono infatti rari, i luoghi dove questi materiali, originati da demolizioni di tipo selettivo altamente conservativo, vengono recuperati, ristrutturati e rimessi in vendita.

Le Miniere Urbane Edili, questo il loro nome, hanno dato vita nel corso del tempo ad un forte mercato dell’usato a livello locale, e sviluppato, sempre localmente, un nuovo modello di occupazione, fatto di nuove e vecchie figure professionali, creando difatti un ponte generazionale tra chi aveva esperienze professionali consolidate e persone che invece si avvicinavano da neofiti alle attività di ristrutturazione e conservazione.

Modelli come questi, affiancati all’attività di de-costruzione selettiva, hanno la capacità di creare nuovi mercati circolari fondati sul RECUPERO – RIUSO – RICICLO.

Immagini dal sito: http://urbanore.com – UrbanOre Ecopark di Berkeley, CA

Quali pratiche servono, allora, per innescare il giusto meccanismo che permetta di creare un mercato dell’usato e sviluppare un modello circolare a livello locale?

Si tratta prima di tutto di scelte politiche di crescita. Sviluppare un mercato dell’usato, di materiali da C&D, non è poi così complicato, complice la crisi economica attuale, esiste molta domanda per questi materiali, tuttavia per creare un mercato dell’usato edile che si regga in piedi da solo, è necessario soddisfare queste condizioni:

  1. prediligere sempre la demolizione selettiva degli edifici e degli impianti – questo è il punto di partenza, senza l’abitudine ad attuare questa pratica, le Miniere Urbane Edili (MUE), non potranno mai esistere;
  2. sviluppare metodi di certificazione ad-hoc che siano in grado di rendere sicuro il ri-uso dei materiali recuperati dalle attività di de-costruzione – Oggi mancano sistemi  di controllo e di certificazione integrati, che siano in grado di garantire il ri-uso dei materiali da C&D;
  3. informare dell’esistenza di MUE – informazione che deve essere trasmessa soprattutto a livello professionale ad architetti, design e costruttori;
  4. formare/trovare figure professionali artigiane (restauratori, vetrai, riparatori, ecc..) che possano essere in grado di ridare nuova vita a questi materiali. Il concetto della formazione è molto importante poiché offre l’opportunità di sviluppare concrete politiche di inclusione sociale e di crescita dell’occupazione giovanile, nonché l’opportunità di attingere dall’esperienza maturata da persone anziane, mettendole a disposizione della comunità come Maestri di mestieri.
Immagini dal sito: http://urbanore.com – UrbanOre Ecopark di Berkeley, CA

Ovviamente un analisi più approfondita di questo argomento, porterebbe a trovare nuovi spunti per soddisfare la necessità di creare una MUE, ma penso che attuazione di queste 4 condizioni sia un primo passo necessario.

 

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