Già nella prima parte di questo post, dedicato all’agricoltura, ho enfatizzato l’importanza del suolo e la sua capacità di rinnovarsi, un esempio di modello circolare naturale. Se l’agricoltura, attraverso l’attuale gestione, è uno degli ambiti con maggiore impatto sul consumo di suolo, l’edilizia non è di meno. Come si apprende dal Rapporto dal titolo: RIUTILIZZIAMO L’ITALIA, edito del WWF nel 2014, da studi condotti sul consumo di suolo italiano effettuati dall’Università dell’Aquila nel 2006, si può notare come procedendo ad una conversione urbana al ritmo di circa 90 ha/giorno, così come avviene oggi, si giunge ad una previsione di suolo consumato al 2026 di ulteriori 660.000 ha. Il ritmo è devastante, anche se diversificato, è il nord del paese quello che paga il prezzo più alto di terreno consumato procapite, circa 719 m2/abitante.
Attestandosi su valori doppi rispetto alla media italiana e dell’Europa occidentale
Da non credere!!
Nel nostro Paese, negli ultimi cinquant’anni, il suolo è stato consumato a un ritmo di 90 ha/giorno (circa 10 m2/sec) di conversione urbana, un quadrato di 80 km di lato, una superficie quasi ampia quanto il Friuli Venezia Giulia.
Il territorio, ricoperto dal cemento in Italia dal secondo dopoguerra, è quadruplicato ed è oggi valutabile intorno al 7,5% della superficie nazionale, contribuendo a rendere più precario l’equilibrio idrogeologico, dissipando le nostre risorse naturali e amplificando i fenomeni estremi causati dai cambiamenti climatici.
Report del WWF, frutto dell’iniziativa “Riutilizziamo l’Italia”
Con questi dati, diventa chiaro che le amministrazioni locali e centrali devono intervenire, provvedendo ad una strategia comune di tutela dei suoli e bene, verso questa direzione, è il disegno di legge in materia di contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato (Atto Camera n. 2039, Atto Senato n. 2383), approvato dalla Camera il 12 maggio 2016, che riconosce l’importanza del suolo come bene comune e risorsa non rinnovabile, fondamentale per i servizi ecosistemici che produce, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici.
Tutto questo è ottimo, ma non sufficiente.
Un ruolo importante verso questo obiettivo, lo gioca anche l’edilizia, attraverso i progettisti e gli architetti, che hanno il compito di elaborare modelli architettonici e urbanistici a basso impatto ambientale.
Basso impatto ambientale in realtà è un idea riduttiva. Quello che ci si attende in futuro, sono interventi urbanistici e costruttivi, che trovano nel pragmatismo la virtù più importante.
Ciò, si rende necessario al fine di consolidare un Modello Circolare valido anche nel campo dell’edilizia, che integri l’idea, di una nuova costruzione, all’ambiente che la circonda, replicandone, nel modo più convincente possibile i cicli vitali (Biomimesi o Biomimicry). Non parliamo quindi, solo di una costruzione che sia inserita nell’ambiente a partire dalla forma, ma parliamo soprattutto della scelta materiali usati. Credo sia più efficace pensare ad un progetto, non solo dal punto di vista della costruzione o dell’uso, ma anche il fine vita della stessa struttura realizzata. Un progetto quindi, che guarda oltre il momento della costruzione, arrivando a progettare anche l’eventuale dismissione del manufatto, dettando regole precise per ottimizzare il recupero dei materiali utilizzati, minimizzando in questo modo gli scarti; che abbia dunque una visione circolare completa:
- Fase progettuale;
- Fase di costruzione;
- Fase di utilizzo:
- Fase di dismissione.
Questo vuol dire:
- pensare al ripristino del suolo dopo che il fabbricato è stato demolito, riportandolo alla condizione originale. Infatti l’alta comparazione del suolo, dovuta la peso dei manufatti, crea effetti dirompenti sulle caratteristiche chimiche e biologiche del suolo sottostante, inducendo alla sterilità. La comparazione infatti, modifica alcune caratteristiche del suolo come la porosità e la permeabilità. La continuità dei pori si interrompe e il movimento di gas e acqua attraverso il suolo viene impedito, riducendo la disponibilità di acqua e ossigeno annullando la crescita delle radici, di fatto compromettendo la vita del substrato organico. [del problema di un eventuale contaminazione parlerò nella terza parte del post]
- pensare ai materiali da costruzione, il che non vuol dire pensare solo a materiali bio-compatibili, anche se questa è la soluzione ottimale. Oggi, non si può negare, facciamo ancora i conti con i materiali tradizionali, come la plastica, il vetro, il ferro ecc. Con questi materiali ci dobbiamo convivere ancora per molti anni e quello che possiamo fare in fase di progettazione è per esempio, scegliere ed utilizzare, quello che è maggiormente riciclabile; un esempio è la plastica, che se accoppiata (prodotti formati da più plastiche diverse) diventa molto complicata da riutilizzare – si può sempre bruciare per fare energia da combustibile non tradizionale però! già, questo è vero, ma non è proprio green!! – se invece è monomerica il riciclo diventa molto più semplice. Un secondo esempio è dato dai materiali strutturali da costruzione come i cementi, mattoni ecc. Essi dopo la demolizione di un fabbricato, anche non industriale, diventano, nove volte su dieci, materiali impossibili da recuperare. Questo è dovuto alla loro composizione chimica, caratterizzata dalla presenza di numerosi additivi sintetici che ne compromettono il riuso. Anche in questo caso un accurato studio degli additivi, per esempio di tipo naturale o sintetico ma biodegradabile, può aiutare sulla strada che porta all’obiettivo Rifiuti 0.
Nella progettazione, come nella pratica di costruzione e decomissioning, diventa importante curare tutti quegli aspetti operativi che, anche se poco nobili dal punto di vista intellettuale, una volta correttamente attivati, fanno la differenza verso l’attuazione di un Modello Circolare; un esempio su tutti, la corretta separazione dei materiali prima di una demolizione. Questa attività che gli imprenditori il più delle volte, vedono esclusivamente come una perdita di tempo e di risorse e quindi un costo, è invece una pratica che consente di abbattere fortissimamente i costi di smaltimento finali!
TEDSalon London 2010 – Michael Pawlyn: Using nature’s genius in architecture
Nella terza e ultima parte del post, parlerò di come l’industria impatta sul suolo e di come sia possibile, ridurre questo impatto che ad oggi è massiccio e quasi dimenticato.
Libri consigliati:
- Biomimicry in Architecture (Inglese) di Michael Pawlyn;
- The Nature of Investing: Resilient Investment Strategies through Biomimicry di Katherine Collins;
- Biomimetica e architettura. Come la natura domina la tecnologia di Giacomo Chiesa e Roberto Pagani
Link da non perdere
- European Commission – Conference ‘Land as a resource’ – Brussels, 19 June 2014
- European Commission – Soil resource efficiency in urbanised areas di Autori vari
- EEA ─ European Environment Agency – Soil resource efficiency in urbanised areas Analytical framework and implications for governance;
- Biomimicry Institute
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